viernes, 26 de febrero de 2010

AMORE, PREGHIERA ED AZIONE


Ha ancora senso proporre all’uomo d’oggi, preso dal vortice degli affari e preoccupato di garantirsi una vita tranquilla e agiata, la preghiera, il ritiro nella “cella dell’anima”, per colloquiare con Dio, per abbandonarsi alla sua contemplazione? Una certa mentalità pragmatica, che ha attecchito anche tra i cristiani, ritiene che ogni momento sottratto al fare sia una inescusabile perdita di tempo, un imperdonabile venir meno alle proprie responsabilità storiche. Torna qui a farsi valere, sebbene dentro un orizzonte interpretativo diverso, l’antica dicotomia tra contemplazione ed azione, secondo cui la vita contemplativa presuppone la “fuga dal mondo”, un mondo visto come costitutivamente peccaminoso, come luogo della perdizione.
Questa visione così pessimistica delle realtà terrene è stata quasi sempre funzionale ad una prospettiva di conservazione dello status quo e di conseguente riduzione intimistica della fede, destinata ad educare alla rassegnazione di fronte alle ingiustizie, affidandosi agli imperscrutabili disegni divini. Sono state date molteplici definizioni della preghiera e ci piace qui ricordare quella di santa Teresa di Gesù. “Per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto di amicizia, un trovarsi frequentemente da solo a soli con chi sappiamo che ci ama”.
Ora, a partire da questo approccio, la preghiera, facendo crescere nella comunione con Dio, porta a guardare gli altri con gli occhi di Dio, a far proprio il suo sguardo misericordioso, ad avere verso il mondo il suo stesso amore. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8).
L’amore è la radice del nostro essere e della nostra fede, un amore che da un lato si alimenta nella preghiera per riversarsi sui fratelli e che dall’altro nel rapporto con essi cresce risospingendoci verso Dio. Nelle settime mansioni del Castello interiore, Teresa d’Avila esplicita con chiarezza il nesso tra contemplazione e azione: “Questo è il fine dell’orazione, figlie mie; a questo serve il matrimonio spirituale, a far nascere sempre nuove opere”. Marta e Maria “devono procedere insieme, perché si possa ospitare il Signore, tenerlo sempre con sé e trattarlo come si conviene, offrendogli il necessario nutrimento”.
Le due sorelle di Betania, Marta e Maria, simboli dell’azione e della contemplazione, al vertice della vita mistica giungono a fondersi, ricomponendo la scissione antropologica tra operosità e contemplazione. “Si potrebbe dire che, il ‘tipo’ puro cristiano non è il contemplativo o l’apostolo, ma il risultato dell’unione esistenziale di orazione ed impegno apostolico” (M. Herraiz Garcìa).
In riferimento alla nostra condizione laicale quello che ci è chiesto è di essere contemplativi nella storia, di fare della nostra vita una preghiera, di essere nel mondo un segno percepibile dell’amore di Dio per l’uomo. Quando dentro le occupazioni quotidiane si mantiene stabile questo ancoraggio a Dio la vita ne esce trasfigurata e nel contempo diviene passione per l’umanità sofferente.
Non quindi credenti gelidamente indifferenti ai drammi e alle tragedie che devastano la società contemporanea, ma cristiani che si immergono con forza profetica dentro i travagli della storia per essere solidali con gli ultimi, con i poveri, con coloro che secondo la logica mercantilistico-capitalistica non valgono e non contano nulla. Un cristianesimo piccolo-borghese ci ha forse abituati a ridurre il precetto evangelico dell’amore del prossimo ad una serie di gesti di beneficenza, di cui è costellata la vita di tante comunità, dalla fede esangue e rituale. Qui ci è richiesto ben altro, qui ci è richiesto di vivere nell’ottica del dono integrale di se stessi, senza limitazioni e accomodamenti “realistici”.
L’orazione e l’azione – scrive Rafael Checa – “sono entrambe espressioni dello stesso amore, della stessa fede, della stessa speranza. Soltanto quando queste scompaiono o si affievoliscono si opera il divorzio, perché l’interiorità diventa ‘intimismo’ che sopprime l’impegno, e l’azione si trasforma in ‘attivismo’ che distrugge l’interiorità”.
Come cristiani siamo chiamati ad un percorso di purificazione attraverso il duro e doloroso confronto con le tenebre di una realtà iniqua, dove la dignità dell’uomo è calpestata. E Gesù Cristo ci si rivela attraverso il volto dei sofferenti e dei poveri, delle vittime dei meccanismi perversi dell’economia del profitto. Uno slancio d’amore, che spezzando l’isolamento monadologico, diventa condivisione radicale delle sofferenze dell’altro e annuncio di liberazione.

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